Aspetti fiscali del commercio elettronico
Sotto il profilo tributario, il commercio elettronico coinvolge in
generale tutte le principali forme di prelievo: diritti e dazi
doganali, IVA e imposte sul reddito. Pertanto, l’operatore
che decida di intraprendere un’attività di
commercio elettronico o di affiancarla
all’attività esercitata normalmente, deve
pianificare le proprie scelte esaminando attentamente i vantaggi e gli
svantaggi derivanti dall’applicazione delle regole fiscali,
in particolare di quelle ancora “in fieri” che
saranno evidenziate nel corso di questo intervento. In quanto fenomeno
economico di portata globale, la Commissione europea ha iniziato ad
interessarsi delle problematiche fiscali relative al commercio
elettronico non appena esso ha cominciato a svilupparsi in maniera
significativa. In un documento del 1997, intitolato
“Un’iniziativa europea in materia di commercio
elettronico”, l’organo europeo ha fornito un primo
contributo alla soluzione dei complessi problemi legati allo sviluppo
del nuovo settore, partendo dal presupposto che l’IVA e i
dazi doganali sono tributi armonizzati e che l’imposta sul
valore aggiunto, per le sue caratteristiche intrinseche di imposta
sugli scambi e di imposta sui consumi, rappresenta il tributo di
riferimento a livello comunitario. È per questi motivi che
nel predetto documento programmatico è stato deciso di
favorire la crescita del settore senza però discriminare il
commercio elettronico rispetto al commercio tradizionale. In
particolare la Commissione europea ha deciso: ( Il presente capitolo
è stato curato da Francesco Santoro, funzionario presso la
Direzione affari giuridici del Ministero delle finanze.) di
non introdurre imposte nuove o supplementari ma di adattare
l’IVA; di considerare la fornitura di un prodotto in forma
digitale un servizio anche se riguarda beni virtuali; di garantire la
neutralità dell’imposta mediante la tassazione dei
servizi forniti per il consumo all’interno
dell’Unione europea e la detassazione di quelli in uscita
dall’Unione europea ma con diritto a deduzione
dell’IVA assolta sugli acquisti; di facilitare
l’osservanza della normativa per ridurre gli oneri superflui
possibilmente attraverso un consenso internazionale; di facilitare la
gestione delle formalità fiscali anche attraverso il
riconoscimento della fatturazione elettronica; di assicurare il
controllo sull’esecuzione effettiva degli obblighi fiscali ed
il versamento dell’imposta sulle forniture elettroniche
ricevute nell’Unione europea. Inoltre,
l’intensificarsi della collaborazione in materia fiscale tra
la Commissione europea e l’OCSE (Organizzazione per la
Cooperazione e lo Sviluppo Economico che vede raggruppati i 29 Paesi
più industrializzati al mondo, compresi i quindici Stati
membri dell’Unione europea), dopo un primo approccio a
carattere più che altro teorico di cui sono testimonianza i
documenti comuni approvati nel corso delle conferenze di Turku, di
Ottawa e di Parigi, si è intensificata al punto da portare
alla individuazione di alcuni principi fondamentali da far applicare ad
un livello il più possibilmente allargato. In un importante
documento del 1998, il Comitato degli affari fiscali
dell’OCSE si è impegnato a: evitare la doppia
imposizione e la non tassazione delle forniture elettroniche;
uniformare il criterio di tassazione nel luogo del consumo; creare
sistemi appropriati per la riscossione delle imposte
all’importazione senza intralciare la consegna dei beni al
consumatore; prevedere adeguate misure per il controllo e la
riscossione delle imposte, incluse le procedure di registrazione;
studiare sistemi appropriati per la registrazione delle imprese,
soprattutto estere, per la conservazione della contabilità e
per i controlli fiscali; semplificare il sistema impositivo e ridurre i
costi degli adempimenti; prevedere il ricorso al meccanismo del
“reverse charge” (inversione del debitore
d’imposta) nei casi in cui la fornitura di servizi o di beni
intangibili sia esentata dall’IVA; estendere gli accordi
esistenti in materia di assistenza amministrativa e di scambio di
informazioni. Anche l’OCSE intende pervenire ad un sistema
fiscale neutrale, in modo da non influenzare, ostacolare od
avvantaggiare oltremodo lo sviluppo del commercio elettronico.
Tuttavia, la strada verso una soddisfacente regolamentazione del
settore si presenta ancora lunga e difficile, soprattutto per quanto
riguarda l’applicazione dell’IVA sulle forniture
on-line, i rapporti con i vari intermediari che si inseriscono nella
compravendita, la determinazione del luogo di produzione del reddito,
la ripartizione delle entrate fra i vari Paesi interessati ed infine i
controlli sul corretto adempimento dell’obbligazione
tributaria da parte delle amministrazioni fiscali. Ciò
premesso, per quanto concerne le fattispecie in qualche misura
già coperte dalla vigente normativa, occorre individuare le
relative norme applicabili; riguardo invece a quelle ancora non
disciplinate, bisogna rifarsi ai principi elaborati in sede
internazionale.
La definizione del commercio elettronico agli effetti tributari
Agli effetti tributari gli organismi internazionali non sembrano essere
particolarmente interessati alle finalità del commercio
elettronico: vendita all’ingrosso (business to business)
oppure al dettaglio (business to consumer). Grande importanza
è stata invece attribuita al modo in cui, tecnicamente,
l’attività viene espletata: fuori rete, con
consegna materiale del bene oggetto dell’acquisto (commercio
elettronico indiretto) ovvero in rete, con fornitura diretta del
servizio o del bene virtuale direttamente alla postazione
dell’acquirente. Ciò in quanto, se sotto il primo
aspetto il commercio elettronico è stato inteso come una
forma tecnologica di vendita tradizionale (in pratica una forma
innovativa di vendita a distanza), dal punto di vista delle
modalità di attuazione l’invio di
“beni” in rete è stato assimilato ad un
servizio. Questa distinzione è estremamente importante
perchè influente sia sulla qualificazione
dell’attività agli effetti fiscali, sia sui
criteri di individuazione della territorialità in fatto di
IVA. Ad esempio, se è pacifico che chi vende pneumatici in
via tradizionale continua a vendere pneumatici tramite Internet, non
è altrettanto sicuro che chi vende prodotti editoriali
(cessioni di beni peraltro soggette ad un’aliquota ridotta e
ad un regime IVA speciale) continui a vendere beni in formato
elettronico e non piuttosto servizi. Lo stesso vale per chi svolge
attività di publishing on-line, produzione tipografica che
se effettuata in rete diventerebbe attività di servizi e non
più vendita di beni come quella tradizionale. In
verità la proposta di direttiva n. 376 def. del 7 giugno
2000 del Consiglio sul trattamento IVA dei “servizi forniti
per via elettronica” non dice nulla in merito alla eventuale
autonoma natura delle operazioni in rete rispetto a quelle
tradizionali, limitandosi a prevedere un diverso criterio di
territorialità ai fini dell’IVA delle forniture
on-line (considerate servizi fiscalmente rilevanti nel luogo in cui
vengono “utilizzate”). L’unica cosa che
viene evidenziata al riguardo è che, per evitare distorsioni
in alcuni settori commerciali derivanti dall’applicazione di
tassi IVA differenti per beni e servizi manifestamente simili, si
potrà pervenire ad una revisione dell’allegato
H della sesta direttiva che elenca le forniture di beni e
servizi con aliquota IVA ridotta. Peraltro, la proposta comunitaria,
che conferma l’applicazione alle vendite a distanza in ambito
comunitario del particolare regime IVA previsto per le vendite per
catalogo o per corrispondenza (per l’Italia gli articoli 40,
comma 3 e 41, comma 1, lett.b, del D.L. n. 331 del 1993), relativamente
a quelle effettuate via Internet usa l’espressione di servizi
resi “tramite mezzi elettronici”, con
ciò indicando una trasmissione inviata inizialmente e
ricevuta a destinazione per mezzo di attrezzature per
l’elaborazione, ivi compresa la compressione e memorizzazione
digitale di dati, nonché la trasmissione intera, il
trasporto e la ricezione via cavo, per radio, tramite mezzi ottici o
altri mezzi elettronici, ivi comprese la trasmissione televisiva ai
sensi della direttiva CEE 89/552 e la radiodiffusione.
Il commercio elettronico indiretto
Com’è noto, il commercio elettronico indiretto si
realizza quando, fermo restando il perfezionamento in rete di alcune
fasi della transazione, compreso il pagamento, la consegna del bene
avviene materialmente utilizzando il servizio postale o i corrieri
nazionali ed internazionali. Dato che questa forma non si differenzia
sostanzialmente dalle normali vendite commerciali, la Commissione
europea intende applicare ad esso lo stesso trattamento IVA delle
normali transazioni interne ed internazionali, consistente, in
generale, nella detassazione dei beni in uscita dal territorio dello
Stato e nella tassazione di quelli in entrata in detto territorio per
essere destinati al consumo. Pertanto, per le vendite rientranti nel
commercio elettronico indiretto valgono a tutti gli effetti le
disposizioni fiscali interne, intracomunitarie ed internazionali
nonché quelle doganali, ove applicabili. In particolare, ai
fini IVA possono verificarsi le seguenti situazioni: se il
fornitore è un soggetto d’imposta nazionale ed il
cliente è anch’esso italiano, non importa se
imprenditore o privato, l’operazione andrà di
regola assoggettata ad IVA, detraibile ove ne ricorrano le condizioni,
a meno che il bene non si trovi fisicamente fuori dal territorio dello
Stato (nel qual caso l’operazione è fuori dal
campo di applicazione dell’imposta); se il fornitore
è un soggetto d’imposta nazionale ed il cliente
è un operatore residente in altro Stato membro della
Comunità dotato di codice identificativo IVA,
l’operazione configura una cessione intracomunitaria non
imponibile ad IVA ai sensi dell’art. 41 del D.L. 30 agosto
1993, n. 331, con obbligo di compilazione dell’ elenco Intra
1-bis; se il fornitore è un operatore economico nazionale ed
il cliente è un privato residente in un altro Stato membro o
un ente sprovvisto di codice IVA, pur in assenza di chiarimenti da
parte dell’Amministrazione finanziaria è da
ritenere che l’operazione configuri una vendita
intracomunitaria a distanza (con esclusione dei beni soggetti ad accisa
o a monopolio) che comporta l’applicazione dell’IVA
italiana fino al raggiungimento del limite di euro 75.000 di vendite in
ciascuno Stato membro. Oltre tale limite, o per effetto di opzione per
l’applicazione del regime normale, l’operazione
configura una normale cessione intracomunitaria non imponibile nei
confronti di un proprio rappresentante fiscale e successivamente una
vendita interna al Paese interessato; se il fornitore è un
operatore economico nazionale ed il cliente è un qualunque
soggetto residente all’estero (fuori della UE),
l’operazione dà luogo ad una cessione
all’esportazione non imponibile ad IVA, supportata da una
fattura e da un’apposita bolletta doganale. È
importante rilevare che per l’operatore nazionale che
esercità un’attività
d’impresa o artistica i corrispettivi della cessione
intracomunitaria e dell’esportazione possono formare un
valore (cosiddetto plafond) da utilizzare, a certe condizioni, per
effettuare acquisti ed importazioni in sospensione da IVA. Le
operazioni che, viceversa, vedono come punto d’arrivo e luogo
del consumo il territorio nazionale vanno considerate rispettivamente
acquisti intracomunitari ed importazioni (quelle riguardanti soggetti
nazionali, ovviamente, rappresentano vendite interne tassabili). Al
riguardo, gli operatori economici devono prestare attenzione alle
particolari modalità di fatturazione degli acquisti
intracomunitari previste dagli artt. 46 e ss. del D.L. n. 331 del 1993
nonché all’annotazione dell’acquisto nel
relativo elenco riepilogativo Intra 2-bis e, relativamente alle
importazioni, alla registrazione ai fini IVA della bolletta
d’importazione per poter effettuare la detrazione
dell’imposta pagata in dogana. Se la spedizione avviene
utilizzando il servizio postale, i diritti doganali (compresi gli
eventuali dazi) e l’IVA devono essere pagati
dall’importatore, società o persona fisica,
direttamente in dogana, posto che l’art.1 del D.P.R. n. 633
del 1972 prevede il pagamento dell’IVA per le importazioni da
chiunque effettuate. Per arginare il prevedibile aumento
dell’elusione fiscale dovuta all’incremento degli
acquisti all’estero di beni di valore non significativo
rientranti nei limiti della franchigia applicabile alle importazioni
definitive di beni ed alle spedizioni di valore trascurabile (oggi pari
a 22 euro), che peraltro riguardano i diritti doganali e non anche
l’IVA all’importazione, da sempre assimilata ad un
diritto di confine, in sede comunitaria si stanno studiando specifiche
misure e non si esclude una riorganizzazione del servizio di controllo
doganale sulle importazioni di pacchetti in contrassegno, attualmente
devoluta al personale postale. Come risulta dalla Guida del
contribuente per l’anno 2000, pubblicata dal Ministero delle
finanze, attualmente gli invii di merci o di oggetti
dall’estero avvengono in due modi: • per
posta-lettera (fino a 2 Kg); • per pacco postale (fino a 20
Kg). Tralasciando i beni spediti a mezzo posta a carattere gratuito e
ad uso personale del destinatario, che possono essere importati in
franchigia dai diritti doganali fino ad un valore di 45 Euro e
beneficiare del non assoggettamento ad IVA a norma dell’art.
68 lett.b) del D.P.R. n. 633 del 1972, se appositamente contrassegnati,
per le piccole spedizioni di valore intrinseco superiore a 22 euro
è consentito lo sdoganamento, dietro semplice dichiarazione
verbale, fino a 1.500 euro (2.500 per le esportazioni). Secondo le
norme fissate dall’UPU (Unione Postale Universale), al
momento dell’invio dall’ufficio postale mittente,
chi spedisce è obbligato a fare una dichiarazione in dogana
contenente tutti gli elementi indicativi della merce relativa al pacco,
che prende il nome di C1 nel caso di posta-lettere e CN 23 nel caso di
pacchi postali. Una volta arrivato il pacco all’ufficio
postale di destinazione, sorge l’obbligo per le Poste di
assolvere tutte le formalità inerenti lo sdoganamento del
pacco e/o della posta-lettera, sulla base della documentazione postale
(bollettino postale e dichiarazione in dogana) e di eventuale
documentazione commerciale (fattura, che molto spesso si trova inserita
nel pacco stesso o è richiesta direttamente al
destinatario). La dogana, dopo le normali operazioni di verifica, se
competono i diritti doganali, procede all’emissione di una
bolletta per il pagamento, una copia della quale è inviata
dall’ufficio postale al destinatario insieme al pacco; i
diritti doganali sono anticipati dalle poste alla dogana. Per gli invii
postali che superano i limiti di cui sopra e che presentano carattere
commerciale, come quelli relativi al commercio elettronico, occorre
un’espressa dichiarazione scritta – Dichiarazione
amministrativa unica comunitaria (DAU) – da parte del singolo
importatore, analogamente a qualsiasi sdoganamento e con le stesse
procedure. Pertanto le Poste italiane, come rappresentante indiretto,
sono tenute a presentare la dichiarazione in dogana e ad assolvere
tutte le formalità non soltanto di natura fiscale ma anche
extratributaria quali quelle relative alla tutela della
salute, alla lotta contro la contraffazione, alla tutela dei prodotti e
dei marchi, ecc. Tali obblighi dovranno essere adempiuti anche dalle
case di spedizione internazionali che agiscono per conto del mittente o
del destinatario, anche mediante procedure doganali semplificate. Per
quanto concerne in particolare il software ricordiamo che in base alla
circolare n.142/D del 15 maggio 1995 (reperibile sul sito del Ministero
delle finanze), le relative importazioni di
“prodotto” contenuto in un supporto materiale
secondo l’art. 167 del Reg. Cee n. 2454/93, sono da
considerare, rispettivamente, importazioni di beni immateriali per
l’intero valore (se il software è standardizzato)
ovvero prestazioni di servizi con tassazione del solo valore del
supporto (se il software è personalizzato). Analoga
distinzione vale per gli acquisti intracomunitari, con riferimento ai
quali la circolare ministeriale n. 13 del 23 febbraio 1994 chiarisce
che i relativi elenchi Intrastat vanno compilati per intero se si
tratta di programmi standard ovvero per la sola parte fiscale (valore
del supporto) nel caso di programmi personalizzati. 10.4_Il commercio
elettronico diretto Il commercio elettronico diretto si verifica quando
in rete si realizzano tutte le fasi della transazione commerciale,
compresa la fornitura di dati, suoni ed immagini direttamente presso la
postazione dell’acquirente. Esso rappresenta
l’aspetto più innovativo dello sfruttamento di
Internet per finalità commerciali perché consente
l’acquisizione sia di servizi, quali software, brani musicali
e informazioni di ogni genere, sia di beni virtuali che non necessitano
di un supporto fisico perchè acquisibili per via telematica
e “scaricabili” con la stampa o
l’archiviazione ottica. In linea con le anticipazioni fornite
in materia dalla Commissione europea, la proposta di direttiva n.376
def. del 7 giugno 2000 del Consiglio sul trattamento IVA dei
“servizi forniti per via elettronica”
considera le predette operazioni alla stregua di servizi fiscalmente
rilevanti nel luogo in cui vengono “utilizzate”.
Tale proposta, pur non modificando il principio generale di
individuazione del luogo di prestazione dei servizi (quello della sede
del fornitore) e quello specifico relativo agli immobili (per cui le
vendite immobiliari on-line continuano ad essere assoggettate
all’imposta eventualmente nel Paese ove è ubicato
l’immobile), si prefigge lo scopo di unificare in un unico
presupposto territoriale (quello del Paese in cui risiede il
committente, di solito coincidente col luogo del consumo) tutti i
servizi forniti tramite mezzi elettronici a fronte di un corrispettivo,
compresa la cessione dei diritti di utilizzo di una serie di servizi.
Nel nuovo testo dell’art.9 della sesta direttiva n.388/77,
l’applicazione dell’IVA secondo il citato criterio
del luogo in cui avviene il consumo del bene o dove risiede il
committente, riguarderà in particolare: 1.
attività culturali, artistiche, sportive, scientifiche,
d’insegnamento, ricreative o affini, ivi comprese quelle
degli organizzatori delle stesse, nonché le eventuali
prestazioni accessorie (che se svolte “fisicamente”
rilevano invece nel luogo della loro esecuzione); 2. tutte le forme di
trasmissione radiotelevisiva, nonché qualsiasi altro suono o
immagine trasmessa o diffusa tramite mezzi elettronici (quando essi
siano diffusi dietro richiesta individuale e pagamento di un
corrispettivo specifico, come nel caso della pay-TV e della payper-
wiev); 3. software, compresi i giochi per computer; 4. elaborazione
dati, compresi i servizi informatici, il webhosting, la progettazione
di siti web e servizi analoghi; 5. fornitura di informazioni. In attesa
dell’approvazione della direttiva e della sua conversione in
legge, la norma di riferimento per l’IVA dovrebbe
essere l’attuale art.7, quarto comma, lett.d) del D.P.R. n.
633 del 1972, con le sue varianti di cui alle successive lettere e) ed
f), a prescindere dal fatto che il fornitore estero sia un soggetto
passivo comunitario oppure un fornitore residente fuori della
Comunità europea sprovvisto di stabile organizzazione o di
rappresentante fiscale in Italia. Ciò è
chiaramente desuibile dalla nota del Ministero delle finanze 20 agosto
1998 n.1977/V/SD con la quale è stato chiarito che
“le forniture da Paesi terzi via Internet di
‘prodotti virtuali’ non devono essere assoggettate
a formalità doganali né al pagamento dei relativi
dazi, fermo restando l’obbligo per il soggetto
d’imposta nazionale di emettere autofattura ai sensi
dell’art. 17 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 per
l’assolvimento dell’IVA riguardante alla
prestazione di servizio che ha ricevuto dal prestatore
estero”. In pratica l’Amministrazione finanziaria
considera il servizio acquistato all’estero per via
elettronica (tra cui i programmi standard) uno specifico servizio di
fornitura elettronica rientrante nella deroga (al criterio generale del
luogo del prestatore) di cui al richiamato art. 7, quarto comma lett.
d) del D.P.R. n. 633/1972. La pronuncia, riguardante beni che
già nel commercio convenzionale presentano una duplice
connotazione in quanto possono essere considerati alternativamente beni
o servizi secondo le loro caratteristiche intrinseche, fa riferimento
alla fornitura via Internet di “beni virtuali”,
intendendo con tale espressione “tutti quei prodotti che
possono sia essere importati sotto forma di beni materiali che essere
forniti in rete”. Dato che i “beni
virtuali” sono considerati alla stregua di servizi, ne deriva
che anche la trasmissione elettronica di “prodotti
virtuali” effettuata tra operatori intracomunitari
dovrà essere considerata una prestazione di servizi
tassabile nel luogo del committente, indipendentemente dal contenuto
standardizzato o personalizzato. Qualora tali servizi siano forniti da
un operatore estero ad un cliente comunitario operatore economico
identificato ai fini IVA, si provvede
all’autofatturazione, all’applicazione
cioè del principio dell’inversione
dell’onere a cui si riferisca la menzionata proposta di
direttiva fiscale (autoliquidazione dell’imposta o
“reverse charge”). Tuttavia, nel caso di vendite
nei confronti di privati europei, per evitare evasioni fiscali e
distorsioni di concorrenza, è prevista in capo ai fornitori
esteri la registrazione IVA in un solo Stato membro, a scelta e sempre
che il fatturato delle vendite al consumo sia superiore a 100.000
€. Sotto il medesimo presupposto territoriale (luogo del
committente) vanno collocate anche le forniture elettroniche dirette di
brani musicali, testi, suoni, immagini, ecc. dal momento che la citata
lettera d) dell’art.7 comprende pure le prestazioni di
servizi consistenti in cessioni, concessioni, licenze e simili relative
a diritti d’autore, quelle relative ad invenzioni
industriali, modelli, disegni, processi, formule e simili ecc.,
indicate nell’art. 3, comma 2, n.2) del D.P.R. n. 633 del
1972. Nella risoluzione n. 14/E del 14 febbraio 2000 in cui si afferma
che la messa a disposizione di notizie e informazioni commerciali e
finanziarie attraverso terminali collegati con una società
specializzata estera tramite linee telefoniche dedicate è
un’operazione territorialmente rilevante in Italia a
prescindere dall’eventuale stampa delle informazioni,
escludendo nella fattispecie il verificarsi di una fornitura di
“prodotto editoriale” (e quindi
l’applicazione dell’IVA agevolata nella misura del
4%). Devesi segnalare che la proposta di direttiva fiscale (2000) 376,
attraverso una modifica del sistema VIES per gli scambi
intracomunitari, prevede la possibilità per i fornitori di
conoscere nel momento e nel luogo in cui viene chiesta
l’informazione, la posizione del cliente, per sapere se
l’acquirente è un soggetto identificato ai fini
IVA o un consumatore privato. 10.5_Momento di effettuazione delle
operazioni ai fini IVA e pagamenti elettronici La priorità
data alla regolamentazione del commercio elettronico agli effetti
dell’IVA trova la sua giustificazione nel fatto che
tale imposta è applicabile in via armonizzatanei confronti
di tutti gli operatori economici residenti nell’Unione
europea, contraddistinti dal possesso di un codice identificativo IVA.
Contabilizzare correttamente un’operazione ai fini IVA
è molto importante perché, tranne poche
eccezioni, è solo con la registrazione delle fatture attive
o passive e delle autofatture che si verificano conseguenze di ordine
sostanziale (ad es. la costituzione del plafond, il diritto alla
detrazione dell’imposta, la disapplicazione di sanzioni
tributarie). Inoltre, la contabilizzazione ai fini IVA consente di
registrare correttamente in contabilità generale le poste
attive e passive rilevanti ai fini del reddito, soprattutto per le
imprese che adottano la contabilità semplificata. Quindi,
per chi svolge un’attività di commercio
elettronico, tanto in forma indiretta che diretta, assume particolare
rilevanza l’emissione della fattura. Per stabilire quando la
fattura deve essere emessa, vale a dire il momento di insorgenza
dell’obbligazione tributaria, bisogna rifarsi
all’art. 6 del D.P.R. n. 633 del 1972, in base al quale, in
linea generale, per l’emissione della fattura relativa alle
cessioni di beni va fatto riferimento alla consegna o spedizione
(sempreché la fattura non venga emessa prima di questi
episodi, come nel commercio elettronico indiretto, in cui il pagamento
e la fattura avvengano, normalmente, prima dell’invio dei
beni), mentre riguardo alle prestazioni di servizi va fatto riferimento
al pagamento del corrispettivo. La stessa fattura elettronica, peraltro
già consentita in via amministrativa da numerose risoluzioni
ministeriali (cfr. ris. 28 maggio 1997 n. 132/E e 29 maggio 1998 n.
50/E) e dall’art. 4, comma 1, del Decreto del Ministero delle
finanze 30 luglio 1999 n. 340 può essere adottata, dietro
autorizzazione ministeriale, anche per le attività di
commercio elettronico. In tale ottica, è allo studio degli
organi comunitari interessati anche la possibilità di
affidare a terzi l’espletamento degli adempimenti contabili
nonché la registrazione e conservazione elettronica dei
documenti fiscali (mediante il cosidetto outsourcing), ferma restando
la permanenza delle responsabilità ai fini
tributari in capo al cedente. In mancanza di precise direttive
ministeriali e fuori da un’espressa previsione di legge, per
il momento non è possibile ricorrere all’emissione
di documenti alternativi alla fattura (come lo scontrino e la ricevuta
fiscale in formato elettronico) per le vendite a distanza al dettaglio
effettuate nei confronti di consumatori privati italiani.
Particolarmente delicata appare infine, con riferimento ai servizi
forniti col commercio elettronico on-line in cui non
c’è la possibilità di controllare le
operazioni “seguendo” il bene, la questione del
collegamento tra fatturazione elettronica e pagamento elettronico, non
solo per la presenza di modalità di pagamento diverse dalla
“moneta elettronica”, ma anche per la
difficoltà degli intermediari (banche, imprese del circuito
interbancario, enti di certificazione, ecc.) a svolgere un ruolo di
controllo della correttezza della transazione anche sotto
l’aspetto tributario. L’obiettivo rimane quello di
restringere al massimo le aree di elusione degli obblighi di
fatturazione e registrazione su libri e scritture contabili,
verosimilmente frequenti visto che tutte le transazioni avvengono
elettronicamente, facendo affidamento anche sullo spirito di
collaborazione dei rappresentanti delle imprese e degli intermediari a
livello europeo. 10.6_L’individuazione del luogo di
produzione del reddito. Analogamente a quanto avviene per le
attività industriali, commerciali, artistiche e
professionali condotte nei modi convenzionali,
l’attività derivante dal commercio elettronico in
tutte le sue forme, inizialmente attratta dall’IVA (che
comunque rimane un’imposta neutra fino al momento del
consumo), produce costi, più o meno deducibili, e ricavi,
più o meno tassabili. In particolare, i proventi conseguiti,
rispettivamente, dalle persone giuridiche e fisiche residenti in Italia
o dalle stabili organizzazioni in Italia di soggetti esteri per le
cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate via
Internet, in quanto ricavi tassabili nell’ambito del reddito
d’impresa costituiscono reddito imponibile ai fini
dell’Irpef e dell’Irpeg (a meno che non si
effettuino cessioni di beni aventi particolari caratteristiche e
protetti da norme speciali, nel qual caso si conseguiranno diritti
d’autore o royalties, a seconda dei casi). Dato
però che Internet offre la straordinaria
possibilità di effettuare vendite superando ogni limite
spaziale e temporale e che, pertanto, soprattutto nel caso della
vendita di “beni virtuali”, un’impresa
italiana può vendere a chiunque nel mondo senza doversi
allocare fisicamente in altri Paesi e spesso senza neppure bisogno di
intermediari, sorge il problema di individuare dove il reddito prende
forma. Ragionando semplicisticamente, si sarebbe portati a ritenere che
tutto ciò che è venduto da un’impresa
nazionale sia reddito prodotto in Italia. Ed invece non è
così, sia per la presenza di soggetti d’appoggio
del venditore in altri territori e sia perché il Paese del
compratore vuole la sua parte di “guadagno” in
termini di introito fiscale. Il primo problema sembra superato dal
fatto che la direttiva sugli aspetti giuridici del commercio
elettronico non considera stabile organizzazione all’estero
il server su cui è allocato un sito web operativo. Quindi,
un fornitore italiano che ad esempio si appoggia in tutto o in parte ad
un provider tedesco, senza una propria significativa presenza umana e
tecnologica in Germania, rimane un soggetto italiano a tutti gli
effetti e l’attività continuerà ad
essere tassata in Italia (con la conseguenza che
l’attività del provider verrebbe assimilata ad una
intermediazione, ad un servizio generico). Trattasi di un principio la
cui importanza potrebbe travalicare i confini europei potendo anche
fungere da punto di riferimento per le presunzioni che le
autorità fiscali decideranno di attuare nei confronti delle
imprese europee allocate su siti di comodo in uno dei cosiddetti
“paradisi fiscali”. Piuttosto il vero nodo da
risolvere sarà quello di come disboscare la
“giungla” di indirizzi Internet in quanto la non
chiara relazione tra il computer, l’utente del servizio ed un
particolare indirizzo web renderà ardua
l’individuazione di molti dei soggetti che opereranno dietro
lo schermo di un computer. Non è solo un problema di
gestione dei domini e di giurisdizione applicabile nelle controversie,
ma anche una questione di definire esattamente l’ambito della
sovranità fiscale di un dato Paese piuttosto che di un
altro. Da questo punto di vista è probabile che, ferma
restando la possibilità di scegliere liberamente la
denominazione e l’identificativo Internet (vale a dire i
domini di primo e secondo livello), alle imprese europee venga
richiesto l’inserimento nella propria pagina web di alcuni
dati di interesse fiscale (domicilio fiscale, partita IVA, ecc.), a
tutela degli interessi erariali. Il secondo problema (quello della
ripartizione del gettito tra Paese della residenza del venditore e
Stato della fonte del reddito, dove il bene è stato venduto,
o di residenza dell’acquirente) è attualmente allo
studio degli esperti OCSE, i quali si stanno adoperando anche per
modificare le disposizioni del Modello di convenzione contro le doppie
imposizioni e quelle del relativo commentario per quanto concerne i
rapporti tra server e stabile organizzazione (sulla base delle proposte
avanzate dalla Commissione europea) nonché il trattamento
impositivo delle royalties. L’Osservatorio
Permanente per il Commercio Elettronico del Ministero
dell’Industria: un banco di prova per un nuovo rapporto tra
imprese e Pubblica Amministrazione Se vogliamo leggere un libro, vedere
un film o guardare una trasmissione televisiva, ascoltare CD del nostro
cantante preferito, prenotare una vacanza visitando virtualmente in
anteprima i luoghi del nostro soggiorno, se vogliamo mandare o ricevere
della posta, se vogliamo rifornire la nostra dispensa, se vogliamo
conoscere le previsioni di borsa o metereologiche, se vogliamo
conoscere le ultime notizie e telefonare in video e in voce, se
vogliamo fare tutto questo, e se oggi lo possiamo fare stando
comodamente seduti in poltrona o in qualsiasi punto della terra, del
mare o dell’aria, lo dobbiamo ad Internet. Entro il 2005 nel
mondo verranno fatti investimenti dell’ordine del trilione di
$ (o di €) ed almeno 500 milioni di persone, che fino a poco
tempo fa usavano solo il telefono, utilizzeranno Internet, TV digitale,
sistemi di comunicazione personale multimediali ed altre tecnologie
interattive cambiando radicalmente il modo di vivere e di
“partecipare” alla società. Il sistema
di indirizzamento Internet, basato sul protocollo a 32 bit IPv4
(Interver Protocol version 4) che consente di ottenere circa
4.300.000.000 1 possibili indirizzi, verrà sostituito nei
prossimi anni con il sistema a 128 bit IPv6 (Interver Protocol version
6) con il quale si arriverà a circa
340.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000 2 alternative e
sarà possibile individuare in rete non solo un sito web ma
anche un numero praticamente illimitato di devices con le quali e tra
le quali trasmettere contenuti, diffondere informazioni, scambiare 1
Per in codice binario a 128 bit risultano possibili un numero di
possibilità pari a: 232=4. 294.967.296 2 Per in codice
binario a 128 bit risultano possibili un numero di
possibilità pari a: 2128=
340.282.366.920.938.463.463.374.607.431.768.211.456 dati,
inviare comandi (un PC, un telefono, una TV, un frigorifero,
un’autovettura, un aeromobile, un POS, ecc.). Nasceranno
tutta una serie di nuovi servizi, di nuove imprese e molte
attività verranno completamente rinnovate, aprendo
opportunità di business a soggetti vecchi e nuovi. Migliaia
di imprenditori e di aziende hanno già trasformato il loro
modo di operare e di condurre la propria attività produttiva
e commerciale attraverso la rete. Internet e le applicazioni come il
Commercio Elettronico sono fattori condizionanti il futuro delle nostre
Piccole e Medie Imprese ed agiscono ormai come vere e proprie
“leve” dell’economia. Il fenomeno avanza
in maniera inesorabile e le modificazioni che accompagnano il suo
divenire sono talmente rapide e diffuse che incidono profondamente su
ciò che incontra nel suo cammino. Gli americani lo chiamano
Internet tornado e di fatto in questi ultimi pochi anni sta cambiando
il modo di fare impresa, di fare commercio, stanno cambiando i rapporti
tra gli operatori economici e tra essi e le amministrazioni, sta
cambiando la vita degli individui. Come muovere queste leve per
consentire alle aziende italiane di sfruttare pienamente i benefici che
potranno derivare loro? Il Ministero dell’industria ha colto
prontamente questa necessità di cambiamento modificando il
modo con cui tradizionalmente si è relazionato con le
imprese. Nuove forme di dialogo, di partecipazione e di collaborazione
hanno caratterizzato gli approcci e le iniziative connesse alla
realizzazione della Società dell’Informazione per
adeguare le scelte e le azioni alle esigenze del mercato e dei suoi
rapidi mutamenti, un modo nuovo per dare risposte e ricevere risposte
sull’evoluzione del contesto tecnico, economico e sociale in
cui operano le nostre imprese. Affinché tuttavia
le PMI possano sfruttare pienamente le opportunità offerte
dalle nuove tecnologie è necessario da parte loro sforzo
culturale ed organizzativo al quale deve corrispondere
l’impegno delle diverse istituzioni pubbliche e private
coinvolte nel processo di sviluppo. Il Ministero
dell’Industria, attraverso l’azione
dell’Osservatorio Permanente per il Commercio Elettronico, ha
evidenziato come le attività di sensibilizzazione e di
promozione coordinate con le realtà rappresentative delle
imprese possano dare buoni risultati e come il sistema produttivo,
opportunamente sollecitato, risponda agli stimoli del mercato e alle
indicazioni delle politiche del Governo. Gli aspetti tecnologici,
finanziari e di business, se pure importanti, non sono al momento i
fattori critici con i quali le aziende devono confrontarsi nello sforzo
che devono compiere verso il cambiamento e la modernizzazione. Esistono
una incertezza ed una indecisione di tipo
“culturale” che frenano le decisioni degli
imprenditori verso l’uso di Internet e delle applicazioni di
Commercio Elettronico. Per questo insieme alle realtà
associative e rappresentative delle imprese dell’industria,
del commercio, e dell’artigianato e alle Camere di Commercio
sono state analizzate le componenti essenziali per la definizione delle
politiche nei settori trainanti l’innovazione tecnologica e
con loro sono state realizzate le principali azioni di stimolo e di
sensibilizzazione nei confronti del mercato. L’azione di
informazione e di sensibilizzazione avviata sul territorio sta dando
risultati molto soddisfacenti e nuove iniziative verranno realizzate
anche sulla base delle richieste degli stessi interessati. Al Road Show
realizzato insieme a Confindustria, Confcommercio, Confesercenti,
Confartigianato, CNA, Unioncamere, che ha permesso di avviare un
dialogo con circa 20.000 imprenditori dell’industria, del
commercio e dell’artigianato, seguiranno altri programmi a
carattere anche specifico e di approfondimento. Il Programma
e-com 2000 oltre ad informare le imprese sulle opportunità
offerte dalle tecnologie dell’informazione e della
comunicazione, ed in particolare dalle tecnologie legate a Internet,
costituisce un contributo in termini di cultura d’impresa
evidenziando l’utilità per le PMI derivante non
solo dai benefici intrinseci delle tecnologie, ma anche da fattori
“esterni” che ne condizionano la diffusione
(tipicamente dal numero dei soggetti che operano sul mercato). Per
valorizzare le esternalità di rete derivanti
dall’uso delle tecnologie informatiche ed Internet, si devono
infatti considerare i fattori che non sono direttamente collegati o
intrinseci alle tecnologie medesime ma dipendono da fattori esterni
condizionati dal mercato e condizionanti il mercato. Tali
esternalità hanno anche caratteristiche tipiche dei diversi
sistemi produttivi ed in Italia sono riconducibili alla elevata
numerosità di Piccole e Medie imprese che operano con
successo sul mercato tradizionale. Un’offerta così
diversificata può rallentare l’affermazione sul
mercato elettronico delle nostre imprese se esse non sapranno
organizzarsi per diventare poli di attrazione nei confronti della
domanda finale e delle altre imprese. È difficile oggi dire
quali saranno le formule vincenti nella nuova economia. Certamente
l’ambiente Internet, già oggi estremamente vasto,
non lascerà molte possibilità e spazi alle
piccole realtà che si presenteranno in ordine sparso. I
processi di aggregazione in atto confermano questa preoccupazione. Nel
Commercio Elettronico un aspetto fondamentale è quello della
creazione dell’infrastruttura di offerta, organizzata non per
singola impresa ma per merceologia di prodotto, per settore, per ambito
territoriale o per distretto. Un’impresa singola ha delle
possibilità solo se ha un marchio affermato a livello
mondiale. Le Piccole e Medie Imprese italiane sono spesso legate a
particolari realtà produttive e commerciali che comportano
una loro appartenenza a particolari settori, filiere, territori o
distretti. Tali realtà costituiscono dei veri e propri brand
di appartenenza e rappresentano un “legame” di
business che ha dato all’Italia forza competitiva sui mercati
e capacità di realizzare dei sistemi a rete che sono
già pronti a “trasferirsi” su Internet
riproducendo sui mercati virtuali l’esperienza che ha dato
ampi risultati nelle attività tradizionali.
L’andamento che si profila vede una crescente presenza di
Portali, i quali grazie alle organizzazioni e alle alleanze che li
supportano stanno diventando i grandi poli di attrazione sulla rete.
Anche senza superare regole antitrust queste realtà avranno
la capacità di acquisire fette di mercato che consentiranno
loro di operare in una situazione pseudo-monopolista con spazi per le
piccole imprese che si ridurranno a nicchie di scarso valore. Tali
considerazioni evidenziano come sia necessario intervenire per favorire
forme associative tra imprese e processi di aggregazione delle stesse.
Il sistema delle imprese deve potersi presentare in modo
“visibile” sia in relazione a particolari territori
e filiere produttive, sia a livello settoriale o di categoria, sia
infine nell’ambito di particolari iniziative in associazione
o raggruppamento di realtà industriali.
L’impostazione da seguire pertanto è quella che
prevede la realizzazione di iniziative sul territorio pensate
nell’ottica del Portale alle quali possono aderire le imprese
che appartengono alla medesima caratterizzazione. Il Portale diventa
una sorta di contenitore qualificato che ha la sua forza nella
capacità di rappresentatività in un mondo come
quello Internet dove sempre più sarà difficile
orientarsi al di fuori di percorsi guidati. L’azione
dovrà interessare in modo capillare il Paese ed un ruolo
determinante per questo lavoro sul territorio sarà svolto
dalle associazioni rappresentative delle imprese e dalle Camere di
Commercio che, attraverso la loro presenza distribuita e un rapporto
diretto con gli imprenditori, possono contribuire ad aggregare le
iniziative delle singole imprese. La rivoluzione è appena
iniziata ma dovrà interessare profondamente il tessuto
produttivo, dal settore tessile-abbigliamento-calzaturiero al
mobile-casa-arredo, dall’alimentare alla meccanica, dalla
ceramica al turismo, passando per i servizi e tutte le altre
attività produttive, commerciali ed artigianali che fanno
dell’Italia uno dei Paesi più avanzati al mondo.
Attualmente Internet viene percepita dalle aziende come un ulteriore
canale promozionale, peraltro molto economico, trascurando invece le
potenzialità e le caratteristiche più
interessanti per l’attività aziendale e se il
marketing ed i servizi a carattere informativo prevalgono sugli
strumenti operativi e transazionali, ciò e spesso dovuto
alla mancanza di adeguata consapevolezza e di solide competenze
tecnologiche ed organizzative. Il lavoro avviato ed i risultati
raggiunti fino ad ora ci danno lo stimolo per continuare la nostra
azione nella direzione tracciata ed i prossimi impegni saranno ispirati
al quadro chiaro delle necessità e delle priorità
che abbiamo acquisito. Le nostre imprese hanno capito pienamente la
portata della rivoluzione in atto e sono in grado di compiere questo
sforzo culturale e tecnologico. Tutti siamo chiamati a contribuire al
raggiungimento di questo obiettivo ed il “gioco di
squadra” sarà determinante. Ma dobbiamo far
presto. È forte il rischio di marginalizzazione per chi non
riuscirà ad adeguarsi. Antonello Busetto COORDINATORE DELLE
POLITICHE PER LO SVILUPPO E LA DIFFUSIONE DEL COMMERCIO ELETTRONICO DEL
MINISTERO DELL’INDUSTRIA Le Camere di Commercio ed
il Commercio Elettronico U g o G i r a r d i e R o b e r t o Fr i s a r
i 1. Il nuovo ruolo della Pubblica amministrazione per lo sviluppo
dell’economia digitale Gli effetti dello sviluppo del
commercio elettronico – e più in generale della
sempre più diffusa introduzione di informatica e telematica
nel sistema produttivo e distributivo – stanno mutando
profondamente la struttura delle imprese e la stessa vita quotidiana
dei consumatori. L’economia digitale costituisce infatti
un’occasione importante di cambiamento: • per le
piccole e medie imprese, che possono offrire i propri prodotti e
servizi ovunque nel mondo, allargando i mercati locali di riferimento;
• per i consumatori, che sono messi in condizione di
acquistare in rete, comparando in poco tempo decine di offerte e di
prezzi. In Italia la diffusione del commercio elettronico
può assumere un ruolo fondamentale nelle politiche di
sviluppo per la particolare composizione dell’apparato
produttivo, caratterizzato da piccole e medie imprese. Questa nuova
forma di distribuzione – basata più su fattori
immateriali che fisici – infatti, premia proprio le imprese
di minori dimensioni principalmente perché può
presentarle on line sullo stesso piano di società
più grandi, riduce le barriere di ingresso su nuovi mercati
ed al contempo valorizza la flessibilità
nell’organizzazione dei fattori produttivi. Il fenomeno del
commercio elettronico richiama oggi attenzione anche in Italia non
tanto per la consistenza raggiunta in termini di fatturato –
che risulta ancora modesta rispetto alle potenzialità
– quanto piuttosto per lo sforzo di recupero del ritardo
accumulato dal nostro sistema nello sviluppo dell’economia
digitale rispetto ad altri paesi. Tale sforzo è
documentato da una recente indagine del Centro studi
dell’Unioncamere (Informatica e telecomunicazioni in Italia:
imprese, occupazione e fabbisogni professionali) da cui si
può rilevare un quadro informativo sulla dinamica delle
imprese e dell’occupazione nei settori collegati
all’informatica e alle telecomunicazioni. Si tratta appunto
dei settori strategici che stanno guidando il veloce sviluppo della
economia digitale. Dai dati del Registro imprese gestito dalle Camere
di commercio si ricava che nel periodo 1997-1999 si è
registrata una crescita molto sostenuta del numero di imprese (+ 17%
nel biennio), benchè con ritmi differenziati tra i vari
comparti: si passa dal + 28% per i servizi telematici, di statistica e
connessi al + 9,5% delle attività di elaborazione-gestione
dati. Sul versante dell’occupazione complessiva nelle imprese
di questi comparti si è verificata una crescita di quasi 50
mila unità (+12,8%) nel biennio 1997-99 (da 382 mila a circa
431 mila unità). Va peraltro sottolineato che tale crescita
si presenterebbe certamente più rilevante, considerando la
componente occupazionale connessa al lavoro parasubordinato e al lavoro
autonomo svolto non in forma di impresa. Tutto questo esprime una
autonoma capacità di adeguamento alle nuove
realtà produttive e distributive, ma, in questa particolare
fase di transizione, l’impresa di minore dimensione ha
bisogno di sostegni per poter operare in un habitat economico in
così rapida trasformazione. L’intervento pubblico
deve quindi essere prioritariamente finalizzato a supportare, con
regole chiare e con adeguate misure di assistenza tecnica, lo sforzo
dell’imprenditorialità diffusa di reggere le sfide
e cogliere le opportunità insite nello sviluppo del
commercio elettronico. All’interno delle Amministrazioni
pubbliche stesse bisogna inoltre innovare i modelli organizzativi per
migliorare i rapporti con la propria utenza, cittadini o imprese. Vi
sono già numerosi soggetti pubblici che dispongono di
infrastrutture tecnologiche in grado di assicurare una semplificazione
ed uno snellimento del rapporto con le imprese nel processo di
semplificazione amministrativa, a partire dalle Camere di commercio,
che stanno adeguando le modalità di erogazione del servizio
alle condizioni imposte dall’economia digitale, sia per i
compiti istituzionali e certificativi che per quelli di sostegno
tecnico alle PMI. Le Camere sono state in qualche modo
antesignane nel prevedere le condizioni per lo svolgimento di questo
ruolo strategico a cui oggi è chiamata la Pubblica
Amministrazione se solo si pensa alla rete camerale con la gestione
informatizzata del Registro delle imprese. Questo impegno verso
l’innovazione per accrescere l’efficienza nei
rapporti con l’utenza è stato anche stimolato
dall’equiparazione, decisa dal legislatore, dei documenti
dell’impresa in formato cartaceo con il loro corrispettivo
costituito dalle memorizzazioni elettroniche del Registro delle
imprese. E recentemente tale impegno può trovare un nuovo
impulso con il decreto che introduce l’obbligo per tutte le
società di interagire per via informatica con il Registro
delle imprese, che potrà portare alla totale abolizione dei
rapporti cartacei tra utenti e Camere di commercio. 2. Gli interventi
delle Camere di commercio per la diffusione del commercio elettronico
Le attività del sistema camerale per favorire uno sviluppo
equilibrato del commercio elettronico traggono origine dalle
finalità generali di promozione del sistema delle imprese e
di tutela dei consumatori, previste dall’articolo 2 della
legge di riforma n. 580/1993 dell’ente camerale. Le Camere,
rispettose delle funzioni alle quali il mercato può
autonomamente assolvere, intendono in sostanza supportare le iniziative
per garantire l’accesso delle piccole e medie imprese alle
opportunità offerte dal commercio elettronico, contribuendo
a un tempo ad affermare regole certe per lo sviluppo
dell’economia digitale. In questa ottica vanno inquadrate le
iniziative di Infocamere – la società consortile
per l’informatica delle Camere di commercio – per
il portale delle imprese che consente la massima visibilità
su Internet per tutte le imprese e per la certificazione della firma
digitale, la cui sperimentazione è già stata
avviata. In qualità di soggetti terzi rispetto al mercato,
le Camere di commercio già svolgono importanti
attività di certificazione pubblica del sistema
delle imprese e questo permetterà un’ampia
diffusione del sistema di garanzia e sicurezza connesso alla firma
digitale. Inoltre il sistema camerale può perseguire una
operazione di standardizzazione a livello europeo della firma digitale
consentendo la validità transnazionale della firma digitale,
per effetto del network costituito nell'ambito delle
attività dell’Associazione europea delle Camere di
commercio (Eurochambres) e formato dalle autorità di
certificazione camerali di dieci paesi europei. Per accrescere
l’affidabilità del commercio elettronico,
rimuovendo le barriere psicologiche che ostacolano il suo utilizzo, le
Camere di commercio hanno fatto nascere, in collaborazione con
Associazioni di categoria e Organizzazioni dei consumatori, Organismi
di certificazione e del commercio elettronico, una struttura denominata
Certicommerce che svolge un’attività di
certificazione e di garanzia dei siti e delle pratiche commerciali
relative alle modalità di vendita on line. Uno dei motivi di
ritardo dell’Italia rispetto ai paesi leader nello sviluppo
del commercio elettronico risiede, del resto, nella minore confidenza
da parte degli operatori in questo strumento innovativo di
commercializzazione. Nell’ambito
dell’attività di Certicommerce verrà
inoltre trasfuso l’impegno camerale nell’erogazione
di un servizio di conciliazione in rete per le eventuali controversie
tra fornitori e consumatori nel commercio elettronico, che troppo
spesso frenano gli acquisti on-line. Un ulteriore ostacolo allo
sviluppo dell’e-commerce risiede nella carenza di competenza
di molti operatori. Di qui l’importanza di realizzare
apposite campagne promozionali e di sensibilizzazione, corsi di
formazione per imprenditori e manager – sia di natura tecnica
che economico-commerciale, oltre che giuridica e fiscale – ed
in ogni caso prevedendo anche modalità di erogazione
innovative, come ad esempio con l’intervento della formazione
a distanza. In questo quadro, le Camere di commercio (anche avvalendosi
dell’attività delle proprie strutture
specializzate) offrono un valido contributo, in collaborazione con le
Associazioni di categoria, nella realizzazione del ciclo di iniziative
di diffusione del commercio elettronico, soprattutto nei confronti
delle piccole e medie imprese, coordinate dal Ministero
dell’Industria con il “ Programma nazionale di
informazione- formazione per la promozione del commercio
elettronico”. La “Guida al commercio
elettronico” curata dall’Indis si inserisce in
questo contesto di diffusione sul territorio dei principi del commercio
elettronico per aiutare le imprese a realizzare un corretto ed efficace
approccio con l’economia digitale. La terza edizione, oltre
ad aver aggiornato le tendenze in atto della Rete, ha introdotto alcune
nuove tematiche che stanno assumendo un’importanza crescente:
portali, comunità virtuali ed e-procurement. Si sono inoltre
approfonditi in modo sensibile e documentato i capitoli relativi al
quadro giuridico ed a quello fiscale. La Guida, come nelle due edizioni
precedenti, è stata promossa dal Comitato Tecnico
dell’Indis sul commercio elettronico; alla sua progettazione
hanno fornito un contributo determinante diversi componenti del
Comitato ed in particolare Ced-Camera di Milano, Commercio Elettronico
Italia (ed i suoi soci Mate e Picwick), Dintec, Ifoa, Infocamere e
Mondimpresa. Per la redazione dei testi un ringraziamento è
doveroso per Giacomo Fusina, per Andrea Migliavacca (Mate) che ha
elaborato gran parte dell’aggiornamento della terza edizione
e per Mauro Fenili (direttore tecnico di Lucense) che ha coordinato i
contributi tecnici alla Guida assicurati dalle strutture camerali Asap,
Formaper, Treviso Tecnologia, Vicenza Qualità. Si ringrazia
Paola Monti di Commercio Elettronico Italia per l’attenzione
con cui ha seguito le diverse edizioni della Guida, contribuendo
notevolmente alla sua diffusione, e Giulia Guerzoni per la
collaborazione offerta durante uno stage presso l’Indis.
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